Tanto he sonado la belleza que mirada està llena de belleza

Ricordi, sorrisi, sfumature e carezze.

 

L’idea e il sogno

Quando ho visto le opere di Cesare Ravasio per la prima volta sono rimasto colpito dalla grande quantità di colori, di umori, di atmosfere irreali e metafisiche che ogni suo lavoro emanava.

Ma soprattutto mi sono venuti in mente tutta una serie di riferimenti artistici, quei riferimenti che accompagnano sempre la produzione di ciascun pittore.

I numeri e le lettere disposte disordinatamente sulle tavole mi ricordavano Boccioni, Balla, Carrà i futuristi che utilizzavano questi segni come rebus per suscitare nell’osservatore meraviglia e desiderio di andare al di là del soggetto o del non soggetto raffigurato, proprio ciò che attanaglia un incallito scioglitore di rebus.

Ma allo stesso tempo mi sono venuti in mente gli artisti americani, primo fra tutti Jasper Johns, i suoi numeri, le sue cartine geografiche create dal solo colore disteso sulla tela con ampie e dense pennellate.

Quando ho avuto modo di osservare “dal vivo” le opere dedicate alla Spagna, questa sensazione, questi riferimenti mi sono tornati alla memoria, bene impressi nella mente, ma in più vi ho notato qualcosa di diverso, di nuovo, che non avevo scoperto in precedenza: il sentimento, la gioia di osservare i paesaggi spagnoli immersi in fasci di luce, dove su tutto regna incontrastato il potere delle nuvole, ora bianche, ora cariche di pioggia, che cambiano l’intensità delle ombre, i colori della natura e delle case.

E sono nuvole in movimento, mai ferme, quelle stesse che possono arrivare fino all’Italia, alla Grecia oppure fino al Marocco, all’Africa, portando con sé tutto il loro mistero, tutta la loro intensità, ma anche il nostro mistero, l’intensità del nostro animo, finalmente libero di viaggiare senza remore, senza limiti.

Il sentimento l’ho visto anche nel desiderio di Ravasio di dare vita a paesaggi mai definiti, mai nitidi, quasi come se volesse conservare dentro di sé le sensazioni e i ricordi che quel paesaggio, che quella luce hanno destato in lui, conservandoli gelosamente alla vista degli altri, ai quali viene data la possibilità di osservare e di individuare solo una parte di quel sogno, di quel sentimento, di quella visione.

Ed allora come nascondere quella sensazione se non con il colore fatto gocciolare sul sopporto, alla maniera di Pollock, oppure inserendovi sopra inserti di natura, di vita animale: conchiglie, piante, pesci, tutto ciò che possa ricordare il mare, la vita, il sole di Spagna.

E così l’idea del sogno è conservata.

Ma solo l’idea.

Il sogno di Ravasio non ci può appartenere.

                                                                                               Francesco Landolfi

                                                                                               Torino, marzo 1996

 

Via del Castello

Via del Castello, con il suo giardino dall’aria Spagnola, ha tutte le prerogative per essere il luogo nel quale un pittore può riuscire a passare la frontiera della realtà, per arrivare a mondi e sensazioni solo comparabili alla magia dello spazio infinito o al buio colmo di luce della mente; luce a cui Cesare Ravasio dà molta importanza nelle sue opere.

Parlare di Cesare Ravasio per me non è difficile e non lo è perché è un amico che emana, sprizza e ti contagia con l’allegria e la voglia di vivere.

Sorella di Cesare è al contempo una squisita sensibilità legata all’affanno di osservare e assimilare tutto quello che lo circonda.

Vedendolo curare i suoi fiori o semplicemente osservandolo quando contempla silenzioso la squisita bellezza del suo giardino, si può capire come è semplice per lui trasmettere tutta quella forza o meglio essenza che ritroviamo nelle sue opere.

Ho avuto la soddisfazione di trascorrere con lui momenti indimenticabili, gustando gelati sulla spiaggia, con il Mediterraneo che faceva da sipario e da testimone ai nostri infiniti discorsi su pittura, musica e altre situazioni.

Ho passeggiato a lungo con lui nel suo giardino dove si può ascoltare il respiro degli alberi, incontrare qualche riccio, vedere il soave aleggiare delle farfalle che arrivano per baciare i fiori in questo luogo per me paradisiaco che il pittore cura con tanto amore.

Ho soggiornato nel suo studio dove mille fotografie fermano momenti persone e luoghi a lui cari poi dischi di totale garanzia in quanto a qualità musicale.

Per Cesare l’amicizia è importante lo so e lo so perché lo ha dimostrato in più occasioni: la si intravede nel suo sguardo nei sorrisi e nelle parole, nei silenzi!

Nello studio ho potuto inebriarmi guardandolo dipingere e condividendo il suo buon umore e la sua vitalità: qui la fantasia si perde tra squisiti disegni classici; puoi smarrirti negli infiniti colori, soffermati tra i violini e tutti gli strumenti musicali appesi alle pareti e accorgerti dello sguardo della maschera veneziana.

Il suo disegno è un carnevale perduto, il suo colore sono i coriandoli soffiati via dal vento: siamo forse davanti a un artista che anticipa il suo tempo in costante evoluzione, per questo c’è da aspettarsi ancora molto dalla sua capacità creativa.

Qualche volta ho sorpreso Cesare scrutare il cielo ed è quando questo accade, che lui vola sulle sue nubi e si immerge in loro fino a impregnarsi della loro magia, poi le porta con sé e le ferma nelle sue tele.

A Verona mentre parlavamo Cesare viaggiava con la fantasia tra i chiari e scuri che plasmano l’architettura di questa città, è curioso, ma succede che anch’io sposi le medesime fantasie e lo vedo dentro qualche fiore e gli domandi:”Cosa fai lì Cesare?”. “Sono qui, amico, sono innamorato di questi colori e respiro l’aroma che mi ricorda le mie stagioni”.

Passeggiando a Venezia ricordai i disegni e la luce dei paesaggi lagunari interpretati da Cesare; in ogni gondola mi sembrava di vederlo vogare mentre diceva: “Arrivederci, devo partire alla ricerca di pensieri nuovi, di toni che toccano l’anima”... Così è Cesare Ravasio o così lo vedo io: irrequieto sognatore, è come un temporale, un fulmine a ciel sereno, una sorpresa quotidiana...!

Lui è come una nota musicale, si alza verso quelle nuvole che tanto ama mentre continua a navigare tra le cose terrene: è come le farfalle del giardino che si perdono tra i profumi e i mille colori.

Cesare ha molto: ha il respiro degli alberi, le nuvole, la musica, i libri, gli amici dei gelati, i gelati degli amici, i giorni sereni, le fotografie, ha l’arte, il pensiero, il ricordo e soprattutto ha se stesso...!

Non voglio dilungarmi più a lungo, credo basti la mia impressione su Cesare Ravasio come persona e artista, voglio solo aggiungere che il Mediterraneo propiziò il nostro incontro e di questo sarò sempre grato al nostro mare.

“Come posso dimenticare” le conversazioni, i sorrisi carichi di allegria e amicizia; per tutto questo, per averti conosciuto, grazie Cesare...!

                                                         Marcos Gonzales

                                                             Valencia, agosto1995

 

Il viaggio

Ho incontrato Giuseppe Pellizza, ci siamo conosciuti in un luogo chiamato “Arrivederci”, dopo tanto vagare abbiamo riposto i sogni sull’erba, sulla prima rugiada di un’epoca trascorsa a guardare la luna, scoprendo la sua zona d’ombra.

Noi due in faccia al mondo luminoso, lui mi indica due cieli, il cielo del mattino terso e limpido e quello all’imbrunire con i toni caldi dell’ultimo sole.

Sono i cieli che noi tante volte abbiamo assimilato e dipinto sulle tele, erano quei cieli della gioventù, chiari e spensierati...!

Ho incontrato il pittore Pellizza, in un posto dove pochi attingono acqua pura, era inverno oppure primavera, non ci sono stagioni ai nostri incontri, a volte la neve cade d’estate, il sole illumina tutti i sorrisi, di chi come noi ha perduto il biglietto di ritorno e vive ai margini di una società...!

Dalla collina di Volpedo, fino ai sogni di Ambivere, da Monleale all’Alta Engadina dalla più sperduta Spagna, alle farfalle delle Langhe, i nostri sguardi correvano su quelle immagini, sui nostri discorsi.

Quel tempo all’accademia, fu lui a presentarmi “Occhi Verdi”, una ragazza di nome Maria, fu lui a incitarci in particolari soggetti, a farci sentire più poeti in un mondo che svela il suo paradiso con i suoi inferni...!

Ricordo quei giorni, quando noi, vicini di cavalletto dipingevamo con attenta allegria, io vedevo la sua folta barba, guardavo i suoi occhi e pensavo a tante cose: “Come ti assomigliano i tuoi dipinti, sembrano specchi di una profonda anima ”, dissi una volta a Pellizza, lui mi sorrise, girò la testa per vedere Maria, si alzò, prese il cappello nero e senza voltarsi sparì nella nebbia...!

Ora so il perché, adesso che sono grande ho capito, noi davanti al mondo a scoprirci così vicini, mentre l’orizzonte ci abbraccia in un unico dipinto, l’opera più sublime della natura che non so dimenticare!

L’appuntamento sul fienile di Volpedo, quando l’estate scoppia, pazientemente a studiare le luci, a raccontarci tutte le storie consumate nei falò ed io in faccia al mondo, fermo con il ricordo di due occhi verdi e di un misterioso viaggio...!

Ho conosciuto il pittore Pellizza da Volpedo, in un tempo fuori dal tempo, in un posto chiamato fantasia, dove a primavera quei treni sfrecciano e i nostri amori ci legano.

Proprio così, caro amico Pellizza, ripenso a tutte queste cose oggi, mentre guardo questo cielo di Ambivere che sorride ed avanza impetuoso, mi fa una carezza, mi bacia, fugge via, questo grande cielo di luna e di stelle, che ha la tua identica, immensa poesia...!

                                                         Cesare Ravasio

                                                         Aprile 1994  

 

Ritorno alle Langhe

Ho voluto a tutti i costi partire, venerdì undici novembre, anche perché i due amici di Canelli e Santo Stefano Belbo, telefonicamente, me l’avevano sconsigliato.

A Costigliole d’Asti, lungo la strada di Calosso alcuni chilometri prima di arrivare a Santo Stefano Belbo, ho visto ancora qualche colore fuggire tra i filari, guardavo quei rossi, gli ultimi di un tragico autunno che ha devastato queste zone.

Le colline al tramonto, che innumerevoli volte ho dipinto, mi facevano adesso lo stesso effetto di allora, di tanti anni fa, quando cominciai a conoscere ed amare le meravigliose e misteriose Langhe!

I paesi più sperduti, la sua gente, la dura vita contadina; ricordo quando conobbi Pinolo Scaglione, quel Nuto, amico da sempre di Cesare Pavese, protagonista de “La luna e i falò”, l’ultimo libro di uno scrittore puro, un dolce e amaro addio al suo paese natale, un ritorno alle Langhe...

Mentre pensavo a queste storie, avevo già davanti la svolta di Crevacuore, Moncucco e la sua collina maestosa, forse mi stava a guardare.

A pochi minuti dalla frazione Vogliere, vedo la stazione di Santo Stefano, ammiro le colline che fra non molto brilleranno sotto la luna.

Gli amici di Santo Stefano Belbo portano il sole sulle spalle, li ho visti quel venerdì, e non avevamo parole, tutti presi affondavamo i passi in quel fango di una tragedia appena consumata !

“Le cose proprio vere non si riesce a raccontarle “. Parole sante di Cesare Pavese, ed io ascoltavo i silenzi e guardavo le labbra che nascondevano i denti stretti dei miei poveri amici.

Il Centro Studi, le case che il Belbo si è preso, i libri le pagine e i pensieri di Pavese, quel giorno al crepuscolo li ho sentiti mentre danzavano nell’aria, li ho respirati e li ho rivisti liberi nello scrigno della memoria...!

Per gli amici delle Langhe, a tutti loro un abbraccio dal più profondo del mio sentimento, a tutti quelli che mi hanno e non mi hanno capito esprimo la mia totale solidarietà!

Cara poesia, con i delicati toni della giovinezza, un domani non lontano, ne sono sicuro, Pavese, la sua gente, le Langhe ritorneranno a brillare con le stelle di una nuova, migliore stagione...!

                                                                  

                                                              Cesare Ravasio

                                                                 Novembre 1994

 

Un sentimento a Ricaldone

Ricaldone quel pomeriggio era tutto una poesia, recitata dal sole: gli angoli delle case, i pittoreschi archi in mattoni rossi, i vecchi aratri abbandonati ai lati delle strade, i cortili che videro Luigi Tenco da ragazzo.

La brezza passeggiava con noi nelle vie, dove i gatti ci facevano l’occhiolino in segno d’intesa...!

Come compagno di viaggio avevo l’amico fotografo Renato Olivieri, un sensibile poeta dell’immagine, con lui a catturare attimi, a fermare un raggio di sole che sfiora il campanile, per poi colpire i nostri cuori e la zona sottostante del paese.

Nella valle la misteriosa presenza di Luigi Tenco, un dolce inquietante brivido...!

Mille dipinti farò a Ricaldone e alla zona circostante, ma il più profondo, il più sublime sta già dentro di me, ha un colore che sorride, patinato con delicati toni della gioventù, ha momenti di euforia, il suo disegno è tracciato con la cordialità, ha la matita magica di un bambino, le trasparenze cromatiche sono gli occhi della gente che ci abita!

Ripenso spesso a quei momenti, senza sforzi la mia memoria rivive i sorrisi delle signore, risente quei vecchi nel circolo fumoso, il gioco delle carte,la loro simpatia.

Mi passano davanti i colori caldi di un tramonto, il Monviso in un rosso fuoco che incontrammo sulla strada del ritorno: la migliore fine di uno spettacolo, il più bel sipario!.

Mentre guidavo, l’ultimo sole caldo invadeva l’abitacolo; accanto a me l’amico Olivieri, e capivo che pure lui aveva le sue sensazioni...!

Grazie, gente di Ricaldone, la poesia vi abita dentro, sta nelle vostre mani contadine, cammina con voi, la si legge al crepuscolo quando in certe stagioni cala e si alza la nebbia.

Grazie, gente di Ricaldone per quello che mi hai donato, per voi stessi e per il vostro paese che io porterò nei miei occhi, per quello che c’era e non c’era…!

Così come a S. Stefano Belbo avvertì l’inquietante impronta di Cesare Pavese, quel pomeriggio a Ricaldone ho respirato la silenziosa presenza di un altro illustre assente...

    

                                                                 Cesare Ravasio

                                                                 Febbraio 1994    

 

La nuvola sui miei pensieri

È passata una nuvola sui miei pensieri, su tutti i pensieri e sulle immagini che non posso più dimenticare!

Una nuvola grigia sostava sui miei sensi, capovolta come gli amori appena nati e già finiti, da ragazzo l’ho sempre saputo, respirato e non ci avevo mai pensato, ora ritorna con lo stesso profumo di allora...!

La pioggia amica della tristezza, la mente è nel fiore, una freccia ha colpito al cuore e vuole carpire tutto questo.

Lo pensai molte volte, forse fu in sogno, un sogno colorato che ti sorride al mattino presto è stato rispecchiarmi in un settembre che chiude la porta del mondo!

La giovinezza appare limpida, ho imparato tutte queste cose da mio padre, quando lui queste cose non me le ha spiegate affatto, solo accennate...!

Da ragazzo lo intuivo, ed ora so di come si guarda in viso un uomo, una nuvola, e di mio padre capirne tutti i sensi e i molti silenzi, lui muto ed io come un cielo colorato...!

Non serve chiudere un attimo gli occhi per scacciare la nuvola, la nuvola è dentro di te, dentro di me che mi sono trovato un giorno nei colori sui fiori della Costa Blanca, nelle sensazioni che ti porti dentro, negli arrivederci, in pagine che hai girato e riletto velocemente...!

La sera mi ha guarito , ora incontro nuvole più azzurre, con sorrisi più larghi, rossetti, unghie sottili e fragili...!

Corre come un treno la mia fantasia, non ferma nemmeno ad ogni stazione e il passeggero che è in me, ne ha paura...!

                                                                                      

                                                               Cesare Ravasio

                                                                 Settembre 1995